Federico Appel è autore, illustratore e lavora come redattore di Sinnos Editrice. Il suo primo libro è stato il romanzo Le memorie di Alessandro, pubblicato dalle Nuove Edizioni Romane nel 2008. Da allora, oltre a illustrare libri di altri autori, ha scritto un altro romanzo, Il sosia di Napoleone, ma anche libri a fumetti come Pesi Massimi e La leggenda di Zumbi l’Immortale (con Fabio Stassi), prime letture e libri illustrati.
Ciao Federico, ti ricordi quando sei entrato in una classe a parlare di fumetto per la prima volta?
Sì! Capitò qualche anno fa, in occasione della prima “avventurosa” edizione di Pesi Massimi. In precedenza avevo già fatto molti incontri ma come “classico” autore di narrativa, avevo pubblicato due romanzi con le Nuove Edizioni ROmane e qualche lavoro illustrato, dove finivo sempre a parlare di fumetto quando mi facevano domande su modelli e aspirazioni narrative. Poi è successo che un fumetto l’ho fatto davvero e ha completato il modo in cui faccio gli incontri. Parlo di edizione “avventurosa” perché fu un mio primo tentativo molto selvaggio, dove ho imparato a fare una cosa che sapevo di poter fare ma che non avevo mai testato sul campo, nè studiato come avrei dovuto. Ma al tempo stesso sono arrivato a immaginare fumetti in maniera naturale, aggiungendo pezzi e modalità narrative differenti e differenziabili alle storie che volevo e voglio raccontare. Grazie al fumetto posso parlare di tutto e saldare i progetti narrativi con quelli grafici e discutere, soprattutto, di tutti quegli spazi ibridi, che mescolano un medium all’altro senza che ci sia una separazione dichiarata tra le cose.
È successo qualcosa che non ti aspettavi, qualcosa che ti ha sorpreso?
In quel primo incontro, non mi ricordo bene che successe. Ma parlare di fumetto esce sempre fuori in maniera naturale. Aver fatto un libro a fumetti è stata un’evoluzione ovvia di quello che volevo fare e negli incontri è stato lo stesso. Parlare come autore e finire a disegnare e magari a discutere con i ragazzi di come fare un fumetto, quali regole usare, cosa fare in forma di fumetto è stato tutt’uno. Viceversa mi ricordo che una volta rimasi molto sorpreso quando in una classe mi dissero che non leggevano Topolino. Ci rimasi piuttosto di sasso devo dire. Topolino, e poi le storie di Carl Barks che però giocano in un campionato astrale a parte, per me è sempre stato una sorta di lettura basilare da cui non si può prescindere (più di Rodari e più di Roald Dahl, se proprio devo dire…). Allo stesso livello dell’imparare a leggere.
Nel tempo, dall’inizio a oggi, hai notato delle differenze con il lavoro nelle scuole, sia da parte delle bambine e dei bambini, che del corpo docente?
Per fortuna sì. Inizialmente in ogni scuola c’era sempre qualche docente che storceva il naso, come a dire che il fumetto era qualcosa di diverso e di meno rispetto a una narrativa classica, come tanto testo scritto. Invece in pochi anni ho trovato docenti sempre più entusiasti e sempre più in grado di manipolare il libro o libretto che avevano letto. Per quel che riguarda i più giovani invece, non ho mai avuto problemi o sguardi diffidenti. Anzi, bisogna faticare per placare l’entusiasmo e la curiosità. Del resto le ragazzine e i ragazzini hanno questa eccezionale capacità di saper leggere bene qualsiasi cosa gli capiti sotto mano e di impossessarsene (anche se si tratta di letture date per compito). Del fumetto del resto mi piace soprattutto questa possibilità di interazione del lettore, che interagisce con la pagina muovendo gli occhi in un modo diverso dalla lettura tradizionale e che interagisce anche replicando, ricercando fonti visive, provando a fare. Una volta in una classe di una periferia romana, prima mi misero davanti agli occhi, con la LIM e Youtube, tutte le immagini che io avevo usato per disegnare Pesi Massimi, dimostrando che erano andati a vedere cose giuste, dopo avermi letto. E poi mi sommersero con domande di tipo tecnico, dalla china alla tavoletta grafica. Sono uscito da quella scuola media camminando sulle nuvole…
Hai avuto mai dei feedback dopo qualche tempo dal tuo intervento a scuola? Classi conquistate dal fumetto che hanno realizzato la loro rivista a fumetti o che rinunciano alla ricreazione per scambiarsi graphic novel?
Per fortuna sì. Recentemente, dopo un incontro (online ahimè) con me, una quinta elementare ha partecipato a un concorso disegnando un fumetto collettivo. E hanno addirittura vinto. Quello che succede, e mi fa molto piacere che succeda, è che di solito i bambini e anche le maestre cominciano a vedere delle cose che prima non necessariamente notavano. L’incontro con l’autore serve soprattutto a me per spiegare cosa volevo o non volevo fare. Ai ragazzi invece serve da stimolo per cominciare a notare particolari apparentemente insignificanti o per cominciare ad accorgersi che dietro ad ogni fumetto, o libri illustrato, si nascondono a volte strategie impensate…
L’esercizio che fai fare per farli innamorare del fumetto?
A me piace molto far passare l’idea che il fumetto sia un lavoro collettivo, dove cioè lo scontro tra idee diverse e tra testo e immagini, tra modalità di rappresentazione, sia l’elemento fondamentale per divertirsi (sia a leggere che a fare). Per questo in genere propongo esercizi di creazione collettiva. Nel caso del fumetto “puro” faccio disegnare una prima vignetta, che sia l’inizio di una storia, e poi comincio a far scambiare i fogli tra i ragazzi, che, andando avanti, sono costretti a confrontarsi con storie sempre più complesse e surreali. In genere le storie si concludono con immani sparatorie laser o catastrofi planetarie esagerate, ma nel processo i ragazzi vedono quante regole bisogna rispettare per fare un fumetto e soprattutto come usarle per potersi divertire o per lanciarsi messaggi e battute. Storie romantiche si trasformano in duelli all’ultimo sangue in un attimo… Oppure, come nel caso de La grande rapina al treno o La Mossa del coccodrillo, produco un unico grande disegno su cui invito tutti ad agire. E in questo caso vediamo treni che si popolano di personaggi strani e battute che escono dalla polvere, a volte con un sarcasmo e un’ironia davvero irresistibili.
Concludiamo con tre titoli a fumetti per bambine e bambini delle elementari?
Uhm! Ne segnalo tre ma già mentre scrivo me ne vengono in mente molti di più. Se si comincia a leggere fumetti, viene subito una gran fame di leggerne di nuovi e di sfogliare, guardare, disegnare…
Stefan Boonen & Melvin, Campo Bravo, Sinnos.
Gli autori, fiamminghi, sono per me irresistibili perché costruiscono storie apparentemente semplicissime ma dense di contenuti, in una forma che riesce a dare spazio all’illustrazione più dinamica, riuscendo a mescolare perfettamente fumetto, albo illustrato, narrativa, in maniera nuova e coinvolgente.
Tuono Pettinato, Garibaldi, Rizzoli Lizard (o anche Il magnifico Lavativo, Topipittori).
Quando ero piccolo, Garibaldi era per me un mito: non tanto o non solo per quello che aveva fatto, ma per quella sua barba bionda e quelle pose eroiche/affettuose che sembravano fatte apposta per essere disegnate. Tuono Pettinato (che da poco se ne è andato e che già ci manca tremendissimamente) mostra che con il fumetto si può fare qualsiasi cosa: si può parlare di Storia e di documenti in maniera leggera ma piena di cultura, divertendosi e divertendo.
Tove Jansson, I Mumin, Iperborea.
Questo è un grande classico del disegno e della scrittura: mi piace segnalarlo perché da poco I Mumin, che sono stati protagonisti anche di libri illustrati e di romanzi, sono tornati nella loro forma a fumetti, deliziosamente divertenti. Se vi piace Hilda di Luke Pearson, (e a me piace un sacco), scoprirete che prima di lei c’erano i Mumin e c’era la grande Tove Jansson.