Sette passeggiate nei boschi narrativi: Emily Carroll e la reinvenzione della fiaba oscura

Lorenzo Barberis

Sei passeggiate nei boschi narrativi è un celebre saggio di Umberto Eco che raccoglie le lezioni tenute dal celebre semiologo ad Harvard. Si tratta di indagini particolarmente brillanti delle potenzialità della narrazione e della sua molteplicità. Nei boschi di Emily Carroll ospita invece sette narrazioni a fumetti, brevi e brevissime, che costituiscono altrettante riletture del concetto di fiaba oscura. I “boschi narrativi” qui sono tali non solo in senso allegorico – il testo come una foresta di segni in cui il lettore si deve perdere – ma in senso reale, in quanto il bosco è il luogo attorno cui tali narrazioni – estremamente inquietanti – gravitano.

Emily Carroll, autrice di fumetto canadese dell’Ontario, è emersa per la prima volta all’attenzione del grande pubblico nel 2010, col suo webcomic horror “His Face All Red”, che divenne allora virale attorno all’Halloween di quell’anno. In seguito al grande successo di questo webcomic, in un periodo in cui questa forma d’arte sequenziale otteneva una sempre maggiore attenzione, Carroll iniziò nel 2011 a lavorare al suo adattamento in formato di fumetto cartaceo, aggiungendo altre storie in un volume che doveva essere “His Face All Red and Other Stories”, e che diverrà poi questo Nei boschi.

Nel 2014 mentre pubblicava online il suo secondo webcomic sul suo sito, “The Hole The Fox Did Make”, la raccolta di fumetti cartacei vedeva la luce col titolo di “Through the Woods”, tradotto qui fedelmente come “Nei boschi”. L’opera vinse il premio Eisner, confermando l’ottima accoglienza critica verso queste fiabe oscure. La stessa autrice annotò una difficoltà di realizzazione, che è poi un punto di forza di questo volume: la complessità di passare dal webcomic al fumetto normale. Il webcomic infatti consente di spezzare maggiormente la narrazione in “tavole” totalmente virtuali e, quindi, anche di formato differente. Cosa che permette di dosare al meglio la suspense, cosa fondamentale in un fumetto orrorifico.

Questa esperienza, tuttavia, porta la Carroll a una strutturazione di tavola, anche nel cartaceo, molto libera, che consente di dare massimo risalto a tale effetto di suspense; anche se, ovviamente, il “page turn”, il “voltare di pagina”, è nel fumetto cartaceo fisso ogni coppia di pagine sinistra e destra.
Per quanto sia un elemento noto, raramente l’ho visto sfruttare a questi livelli di consapevolezza. La Carroll costruisce storie di potente tensione, in grado di pervadere davvero il lettore di una sottile ma pervasiva inquietudine. Se da un lato la stessa autrice evidenzia come il passaggio al cartaceo tolga la libertà compositiva del webcomic, resta però il fascino innegabile di un libro cartaceo, che costringe il lettore a un maggior isolamento col testo nella lettura, rispetto a quella del webcomic su una finestra di un device, sia esso pc o smartphone. Questo vale forse ancor di più quando il fiabesco, come qui, va a rafforzare l’orrorifico: perché la fiaba costringe il lettore a una regressione all’infanzia che lo rende più disponibile al farsi inquietare dagli orrori che si celano tra le pagine del volume, tra i rami degli alberi del bosco.
Del resto, le fiabe nascono in origine, dalla tradizione orale, molto più terrificanti di quanto poi le abbia edulcorate la tradizione ottocentesca, e poi quella in senso lato disneyana, con ulteriore addomesticamento.

D’altro canto, la short story moderna nasce nell’Ottocento anche a partire dall’immaginario fiabesco: basti pensare ad Edgar Allan Poe, il padre del racconto moderno che si stacca dalla novellistica precedente, e a sue storie dal sapore di fiaba oscura, più o meno accentuato, da “La maschera della morte rossa” a “Il cuore rivelatore”. Non a caso, anche il maestro dell’horror contemporaneo, Stephen King, è magistrale nel romanzo-fiume ma conserva l’attitudine al racconto, che più volte ha dichiarato di ritenere il fondamento del genere (nel suo caso, più che nella fiaba, nella “morality play” puritana: ma anche le fiabe hanno spesso un vistoso monito morale…).

Questa cupezza delle fiabe di Carroll è quindi un ritorno alle origini, a suo modo. Autrice completa, la Carroll riesce qui a far dialogare perfettamente il segno con la storia che vuole narrare. I suoi disegni evocano un immaginario fiabesco e infantile, evolvendolo al tempo stesso in chiave dark soprattutto tramite la colorazione e i giochi di luce: tavole prevalentemente cupe, dove il nero di sfondo, alternato a pochi squarci di bianco, fa risaltare con particolare forza i colori di oggetti e figure particolarmente significativi, contribuendo all’enfasi della tensione che pervade tutti i racconti, a partire dalla breve Introduzione.
Visivamente, può venire in mente, per analogia, un genio visionari come quello di Tim Burton, in opere come La Sposa Cadavere e Nightmare before Christmas. Ma il segno della Carroll ha una sua totale autonomia nella costruzione delle sue storie oscure.

In qualche modo, a partire proprio forse dalla sua provenienza dal webcomic, questa di Carroll si può vedere come una reinvenzione della fiaba oscura, che ritorna ai classici in modo assoluto – non vi è alcun elemento di “modernità” evidente in queste storie.
Paradigmatico, in questo, la storia conclusiva, che affronta un grande classico della fiaba rivisitata: una riscrittura di Cappuccetto Rosso. Carroll riesce a essere inquietante per sottrazione, non aggiungendo elementi splatter, anzi, non facendo accadere nulla, ma lasciando così irrisolta e sullo sfondo, volutamente, la tensione ancestrale della storia.

Carroll dimostra insomma come questo immaginario dell’orrore fiabesco possa avere ancora una forza dirompente anche sul lettore teoricamente smaliziato, a saperne riscoprire magistralmente i punti di forza. E a patto che il lettore accetti di perdersi, lui e il libro, soli, nella penombra di una stanza, nelle infinite diramazioni che ci attendono nei boschi del fumetto.

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