“La lunga discesa” è un fumetto hip hop: intervista al rapper Amir Issaa

Disegnato da Danica Novgorodoff, La lunga discesa è l’adattamento a fumetti del romanzo bestseller di Jason Reynolds. Racconta il dilemma di Will, un adolescente afroamericano che, dopo aver visto morire il fratello maggiore in una sparatoria, sente la pressione delle regole sociali che gli impongono di vendicarlo, ma anche un insopprimibile desiderio di uscire una volta per tutte dalla spirale di violenza in cui è nato e cresciuto.
Abbiamo chiesto ad Amir Issaa, rapper ed educatore che ha firmato la postfazione del volume e collaborato alla traduzione, di raccontarci La lunga discesa dal suo punto di vista e spiegarci la differenza tra rap e hip hop.

Se dovessi raccontare La lunga discesa in poche parole, magari in una barra, cosa diresti?

Credo nella forza che mi ha dato mia madre,
l’orgoglio di chi soffre ma non sta lì a guardare.
Vero con me stesso, ce l’ho scritto sul volto:
ho ucciso il mio personaggio, sono morto e risorto.
(Amir Issaa – Cose da dire – album: Paura di nessuno)

Nella postfazione hai scritto che La lunga discesa è una storia hip hop. Perché?

Leggendo questa storia ho sentito un fortissimo legame simbolico con la cultura hip hop americana, nata negli Stati Uniti alla fine degli anni ’70, in un momento in cui in alcune città, come nel Bronx a New York, era esplosa la violenza tra gang rivali. L’hip hop nasce in questo contesto per trasformare la violenza in qualcosa di creativo, è un tipo di cultura che metteva e mette le persone davanti a una scelta: trovare un’alternativa al mondo della violenza e del crimine in cui nasci. Nella testa del protagonista di La lunga discesa, Will, risuona continuamente questa idea della scelta. Io stesso sono in un certo senso un esempio del fatto che possiamo scegliere. Sono cresciuto con un padre impegnato in attività criminali e poi carcerato. Le persone che venivano a casa mia e che erano nel mio quartiere facevano spesso lo stesso tipo di attività, e seguire questa strada sembrava la cosa più facile. Attraverso la cultura hip hop ho cominciato a dipingere graffiti, ballare la break dance, perché non volevo cedere a un destino che sembrava già scritto. In un quartiere di periferia come quello in cui sono cresciuto, per essere rispettato devi mostrarti il più forte fisicamente, invece nell’hip hop guadagni rispetto quando sei il più forte a disegnare, a ballare o a rappare. C’è sempre una competizione, ci sono sempre delle regole – come quelle citate nel fumetto – ma vengono applicate in un altro modo.
Nel corso dei viaggi che ho potuto fare negli Stati Uniti mi sono reso conto che c’è un forte legame tra quello che i rapper raccontano con la loro vita all’interno di un quartiere povero. E La lunga discesa, che è tratto da un romanzo americano, ripropone questa ambientazione e quelle atmosfere. Il contesto dell’hip hop italiano è un po’ diverso, sia perché sono pochi i quartieri italiani che si possono paragonare a quel tipo di periferia americana – forse Corviale a Roma e Scampia a Napoli – sia perché i rapper italiani generalmente non provengono da quel tipo di situazioni.

Che effetto ti ha fatto leggere questo graphic novel la prima volta?

Ho provato sorpresa e piacere nello scoprire che ci fosse nel mondo del fumetto italiano un volume che mettesse al centro del racconto una comunità afroamericana. Quello dell’integrazione è un tema che ormai comincia a riguardare anche la società italiana. Io sono figlio di un’italiana e di un immigrato egiziano, sono cresciuto tra due culture. Quando tengo gli incontri nelle scuole mi rendo conto che situazioni di questo tipo sono sempre più frequenti e che l’Italia è in forte cambiamento: basta guardare anche solo la mescolanza razziale degli sportivi che gareggiano nella nazionale. È importante che questa realtà nuova abbia una sua rappresentazione pure nei fumetti, e che ci siano personaggi nei quali, per esempio, un ragazzino italiano di origine nigeriana possa rispecchiarsi anche esteticamente.  In una parola, nel graphic novel La lunga discesa ho respirato un’atmosfera contemporanea.
Un’altra cosa che mi ha colpito è stato come in questo graphic novel la violenza di strada viene non venga raccontata come qualcosa verso cui provare ammirazione, laddove da noi un certo tipo di cinema, e persino certi personaggi del rap, glorificano la violenza come qualcosa di eroico o di bello. La mia esperienza, di persona cresciuta in un quartiere in passato difficile come Tor Pignattara, non è così: alcuni dei miei amici d’infanzia o sono finiti in carcere, o sono morti, o sono tossicodipendenti, non vedo nulla di bello in tutto questo. La lunga discesa racconta questa realtà nei suoi vari aspetti e la porta all’attenzione dei ragazzi senza glorificarla, mettendo al centro un protagonista che si interroga sul concetto di scelta.

Qual è stato il lavoro che hai fatto sul testo?

Mi sono occupato della revisione del testo (tradotto da Laura Bortoluzzi) per inserire elementi dello slang giovanile e per mettere in metrica i dialoghi, che erano delle vere e proprie barre, come chiamiamo noi le strofe. È stato un lavoro molto stimolante, un’occasione per mettere le mie capacità tecniche a disposizione in un campo dove non mi sarei mai aspettato di arrivare. Ho cominciato a fare rap per raccontare delle cose, poi mi è capitato di lavorare per il cinema, creando la musica per Scialla! di Francesco Bruni, ma non mi sarei mai aspettato di dover creare delle rime per un fumetto. È stata una sfida e sono felice di averla accettata.

Hai più volte detto che il rap è simile alla poesia, perché come la poesia si articola in strofe e mette allo scoperto la musicalità delle parole. Usare questo linguaggio espressivo su una storia tragica come La lunga discesa serve ad alleggerirla?

Più che alleggerire, il rap rende una storia così più comprensibile a un certo tipo di pubblico. Come linguaggio, si adatta bene al pubblico degli adolescenti. La parola rap, come ho scoperto lavorando al mio libro Educazione rap, sembra sia un acronimo che potrebbe significare “rhythm and poetry”, quindi una poesia messa su un tempo. Mentre leggevo La lunga discesa sentivo un ritmo, un sottofondo che era tipo un beat, la strumentale su cui si rappa. Sarebbe bello provare a leggere il fumetto mentre si ascolta un beat, sarebbe una cosa sperimentale.

Il graphic novel racconta un contesto sociale durissimo, in cui la violenza si impone come l’unico modo di agire possibile. Secondo te leggere fumetti così può aiutare a cambiare la realtà?

Sì per me può aiutare tantissimo. Spesso chi non vive dall’interno quel tipo di storie pensa che questi personaggi debbano fare tutti la stessa fine, come si vede nei film o nelle serie sulla malavita. Il protagonista de La lunga discesa invece è molto diverso, suo fratello, vittima di una sparatoria, non è un boss, è semplicemente un ragazzo di strada che si è trovato coinvolto in certe dinamiche e non ha avuto la forza o l’occasione di uscirne. Ecco perché questa storia può aprire una riflessione: non sempre chi fa vita di strada è un boss del male, spesso si tratta semplicemente di persone che non trovano lavoro e cedono alla tentazione di fare soldi facili. Oppure, questo ci tengo a sottolinearlo, lo fanno per un senso di appartenenza. Perché la gang è la tua comunità, nella quale vuoi farti rispettare, e restare fedele a quei valori sembra l’unico modo per continuare a farne parte. Il bisogno di sentirsi accettati da un gruppo è un fatto ancestrale, e non fare le cose che il gruppo ti propone significa essere cacciato fuori. Forse un film che racconta bene questo contesto, e che infatti ho citato nella postfazione, è L’odio di Mathieu Kassovitz, ambientato in una banlieue parigina. Di questo tipo di quartieri di periferia si tende a rappresentare solo i grandi criminali, e il messaggio che passa al grande pubblico è che quei posti siano abitati soltanto da delinquenti, mentre ci sono tante brave persone che scelgono comunque un lavoro onesto, pur tra mille difficoltà. È uno stereotipo che storie come La lunga discesa riescono a smentire, dando una rappresentazione della realtà più stratificata e fedele.

Stando alla tua esperienza, anche di educatore, il pubblico di adolescenti come si approccia a storie così forti e realistiche?

Ragazzi e ragazze si approcciano con molta curiosità a questo tipo di storie, perché, sono atmosfere che a loro arrivano attraverso la musica, i film e le serie. Quando nelle scuole li incontro e scoprono di avere davanti una persona che ha vissuto quelle situazioni ma ha voluto trovare un riscatto positivo, sento una grande partecipazione ed empatia da parte loro. Il fatto che io abbia vissuto quelle esperienze e abbia trovato il coraggio di raccontarle, cosa che ho fatto da adulto perché da adolescente tenevo tutto dentro, mi ha trasformato ai loro occhi in un testimone reale e credibile, un interlocutore verso cui prestare una nuova forma di attenzione.

Che playlist accompagneresti alla lettura de La lunga discesa?

2Pac – Changes
The Notorious B.I.G. feat. 112 – Sky’s the limit
Too Short – The ghetto
Nas – I can
PNL – Le monde ou rien
Sangue Misto – Cani sciolti
Amir Issaa – La strada parla
Escomar feat. Baby Gang e Simba La Rue – Fratello mio
Simba La Rue – Triste
Sfera Ebbasta feat. Marracash – 15 piani

Ci indicheresti i termini che non possono mancare in un glossario essenziale dell’hip hop?

  • M.C. (Dall’acronimo in Inglese “Master of Ceremony” – sinonimo di Rapper): L’M.C. è colui che oltre a saper fare rap, è abile nel coinvolgere il pubblico durante una festa hip hop.
  • BEAT: Il beat è la base musicale, detto in gergo anche ‘strumentale’, su cui un rapper canta le sue strofe.
  • BARRE: Le barre sono le rime nel gergo tecnico dei rapper. Due versi in rima costituiscono una barra.
  • FLOW: È la tecnica con cui il rapper fa scivolare le rime sul beat.
  • CREW: Questo termine si usa all’interno del movimento hip hop per identificare un gruppo di rapper, breaker, writer o DJ.
  • BOOM BAP: Sottogenere musicale del rap nato nella East Coast degli Stati Uniti, spesso associato alla “Golden Age” di questo genere musicale (un periodo che va dalla metà degli anni Ottanta alla metà dei Novanta).
  • TRAP: Sottogenere del rap nato ad Atlanta verso la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, ormai diffuso in tutto il mondo.
  • DISS: Parola in slang americano nata dal verbo disrespect. Scrivere delle rime in cui si attacca un altro rapper.

Ci aiuteresti anche a fare chiarezza sulla differenza tra hip hop e rap?

Il rap è solamente l’espressione musicale del movimento culturale chiamato hip hop, in cui ci sono altre forme d’arte: Il “breaking” è una forma di danza, il “graffiti writing” è l’espressione visuale e consiste nella scrittura del proprio nome sottoforma di lettere elaborate e colorate e il “Deejaying”, in cui il Dj fa diventare i giradischi dei veri e propri strumenti musicali e, oltre ad avere l’abilità di far ballare il pubblico, riesce a creare degli effetti sonori grazie alla manipolazione dei dischi che controlla attraverso il mixer.

La lunga discesa

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