Il fumetto per scoprire il perché delle cose: Gud intervista Assia Petricelli e Sergio Riccardi

 

 

Assia Petricelli è nata e vive a Napoli. Ha realizzato documentari storici, prodotti editoriali e audiovisivi didattici incollaborazione con Rai, Ministero dei beni e delle attività culturali e altri soggetti pubblici e privati, occupandosi in particolare di storia contemporanea, arte e archeologia, questioni di genere. Ha scritto sceneggiature di fumetti per Il Manifesto, Animals e Jacobin.

 

Sergio Riccardi Nato a Napoli nel 1981, dopo esperienze come scenografo per il cinema e la televisione, si dedica al fumetto, all’illustrazione e all’animazione.  Ha illustrato inoltre Salvo e le mafie, scritto da Riccardo Guido, che ha vinto il Premio Siani 2014 nella sezione “fumetto”. Attualmente insegna Tecniche di Animazione Digitale. Cattive ragazze, il loro primo graphic  novel, ha vinto il Premio Andersen nel 2014 nella categoria miglior libro a fumetti. Insieme per Tunué sono autori di Per Sempre.

 

Quando siete entrati in una classe a parlare di fumetto per la prima volta?

Non riusciamo a ricordare quale sia stata proprio la prima volta in assoluto, sicuramente in occasione dell’uscita del nostro primo libro, Cattive ragazze, con il quale abbiamo incontrato nel corso del tempo decine di classi della scuola secondaria di primo e secondo grado. Sono stati incontri anche molto diversi tra loro. All’inizio le insegnanti ci contattavano perché vedevano nel nostro libro uno strumento efficace per trattare alcune questioni in classe: i diritti delle donne, gli stereotipi di genere, il processo di liberazione femminile… Accade anche oggi con il nostro ultimo libro, Per sempre, edito da Tunuè: le storie sono il veicolo migliore per parlare di adolescenza, crescita, differenze, tanto più se sono storie disegnate, che finiscono per conquistare anche il più resistente dei non lettori. Ma la diffusione del fumetto tra i giovani non può esaurirsi in questo: col passare del tempo nei nostri incontri ci siamo sempre più concentrati sulle caratteristiche specifiche del linguaggio, sulla grammatica della tavola disegnata, sul dietro le quinte di un lavoro di cui si sa ancora molto poco fuori dai circuiti degli addetti ai lavori. E abbiamo riscontrato un interesse via via crescente nei docenti, oltre che tra studenti e studentesse.

 

 

Qual è il ricordo che vi portate dentro da quell’esperienza?

Tra i primi incontri in classe ricordiamo molto bene quelli legati ad un progetto artistico e di ricerca piuttosto articolato che coinvolgeva anche il Salone del libro e l’Università di Torino e che mirava a rispondere a questa domanda: in quale modo, lavorando sui fumetti come i nostri, ragazzi e ragazze modificano la propria percezione dei rapporti tra i generi? Per questo progetto abbiamo svolto numerosi laboratori in scuole di diverse regioni, dal Nord al Sud del paese, durante i quali gli studenti e le studentesse erano invitati a riscrivere le biografie contenute in “Cattive ragazze” colmando i vuoti, lo spazio bianco. Ad esempio, immaginando le reazioni di un personaggio di fronte alla scelta assunta dalla protagonista o le ripercussioni delle sue decisioni sui familiari. La risposta fu entusiasmante. Il processo creativo permetteva ai partecipanti di elaborare concetti complessi tenendo insieme ragionamento e vissuti personali. Le produzioni delle classi rappresentarono un materiale di partenza per sviluppare la scrittura di uno spettacolo teatrale. Quindi fu un progetto, in qualche modo, crossmediale, con il quale i ragazzi sperimentarono un dialogo tra linguaggi artistici diversi.      

Per sempre, Assia Petricelli-Sergio Riccardi
Per sempre, Assia Petricelli-Sergio Riccardi


È successo qualcosa che non vi aspettavate, qualcosa che vi ha sorpreso?

Una cosa che ci è capitata in alcune occasioni e che non ci aspettavamo è che i ragazzi e le ragazze non avessero la minima idea di chi fossimo e di cosa avremmo parlato. I docenti non si erano preoccupati di preparare la classe: gli era piaciuta l’idea di far incontrare ai loro studenti dei fumettisti, ma non avevano pensato al come e al perché. Ma un incontro in una scuola non è come una presentazione in libreria: in quest’ultima ci si trova davanti a un pubblico fatto da persone che hanno letto i tuoi libri o che, in qualche misura, sono interessati al tuo lavoro, per il medium usato, i temi affrontati o altro. A scuola è molto diverso: i ragazzi sono lì perché “obbligati” e, se le insegnanti non hanno svolto prima un lavoro di accompagnamento all’incontro (prima, ma anche dopo!), il senso dello stesso rischia di perdersi o comunque ne può essere di molto diminuito il valore. Da parte nostra abbiamo sempre fatto quanto era in nostro potere, anche in queste situazioni, per lasciare una traccia nei ragazzi e nelle ragazze e per farli sentire coinvolti in prima persona in quanto accadeva, ma, da insegnanti a nostra volta, siamo consapevoli di quanto sia importante che ogni momento di un percorso di istruzione e educativo sia inserito in una progettualità più ampia e ben definita, se non si vuole correre il rischio che sia un mero diversivo rispetto alla routine scolastica.


Una curiosità, nei vostri laboratori di creazione di storie a fumetti, in che modo fate lavorare le classi? Si tratta più di lavori individuali o di gruppo?

Di solito, nei nostri laboratori partiamo da ragionamenti e discussioni condivisi con tutta la classe e poi, in un momento successivo, dividiamo ragazzi e ragazze in piccoli gruppi per favorire lo scambio e il confronto. Raramente li facciamo lavorare individualmente, ma questo dipende molto dal contesto e dall’età. Di recente abbiamo tenuto laboratori di graphic journalism con giovani tra i 16 e i 19 anni, articolati in piccole redazioni: in queste occasioni abbiamo stabilito tutti insieme quali “notizie” coprire e poi i partecipanti hanno realizzato i loro reportage in coppie, composte da uno sceneggiatore/trice e un disegnatore/trice, o in forma individuale, a seconda delle inclinazioni e delle competenze personali.

 

 

Oltre agli incontri con le classi, secondo voi, quali potrebbero essere i passi per “far entrare” il fumetto nella scuola? E dove si annidano le resistenze maggiori?

Un passo potrebbe essere quello di arricchire le biblioteche scolastiche con testi a fumetti (e prima ancora costituire delle biblioteche scolastiche e di classe, che ancora mancano in molti istituti!). Chiaramente, perché ciò accada, è indispensabile che i docenti attribuiscano valore ai libri a fumetti e li riconoscano come risorse utili per la didattica, quali effettivamente sono. La resistenza maggiore si incontra proprio qui: i fumetti sono considerati ancora come letteratura di serie B, destinata a un mero intrattenimento per bambini; pertanto i docenti non li propongono a scuola. Questo è particolarmente vero per la secondaria di secondo grado, dove si prediligono proposte di lettura generalmente ritenute maggiormente “serie”, ignorando che la lettura di un buon libro a fumetti richiede competenze interpretative non banali. È paradossale quanto nella scuola ancora oggi si dedichi poco spazio alla decodifica delle immagini, pur vivendo in una società dominata dalla visione. In questo senso, potrebbero essere utili iniziative di formazione ad hoc che aiutino gli insegnanti ad avvicinarsi a un linguaggio ricco e complesso come quello del fumetto e a scoprirne le molteplici potenzialità didattiche. Comunque, negli ultimi anni la sensibilità generale sta evolvendo e sicuramente il fumetto troverà spazi via via maggiori anche nelle aule scolastiche.


Mentre lavorate a un fumetto, pensate già ai suoi possibili sviluppi successivi, laboratori, incontri e lavori con le classi?

Diciamo che tutte le volte che abbiamo lavorato a un libro per ragazzi e ragazze, quindi sia con “Cattive ragazze, sia con “Per sempre”, lo abbiamo fatto con la speranza che potesse diventare uno strumento nelle mani dei e delle docenti per affrontare determinate questioni. Sono entrambi libri che provano a mettere in comunicazioni giovani e adulti. L’elaborazione di specifiche iniziative, però, è qualcosa che viene dopo, quando il fumetto comincia a camminare sulle sue gambe e noi ci mettiamo un po’ nella posizione di osservatori di quanto accade alla nostra creatura. È allora che nascono i progetti: dall’incontro con lettrici e lettori in carne ed ossa, per lo più adulti, di solito educatori, talvolta genitori, che scelgono di parlare a e con ragazzi e ragazze attraverso le nostre storie.

Concludiamo con tre titoli a fumetti per la scuola secondaria (anche tre a testa)…

Sergio propone Appunti per una storia di guerra di Gipi, Smile di Raina Telgemeier e Maus di Art Spiegelman. Assia, invece, Persepoli di Marjane Satrapi, Bianco intorno di Wilfrid Lupano e Stephane Fert e Il muretto di Céline Fraipont e Pierre Bailly.

 

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