Escher: l’incastro impossibile tra pittura e fumetto

di Lorenzo Barberis

Escher. Mondi impossibili di Lorenzo Coltellacci e Andrés Abiuso, uscito per Tunué nella primavera del 2022, è un interessante caso di un genere fumettistico che ha avuto una sua fortuna, parallela direi all’imporsi del graphic novel: la biografia di artista a fumetti.

Arti visive e fumetto

Il rapporto tra fumetto e pittura sarebbe ovviamente vastissimo, a partire da quegli autori (tra i primi, celebre il caso di Lionel Feininger, ma qui da noi possiamo annoverare Carlo Bisi, quello del Sor Pampurio) che fin dalle origini del medium hanno affiancato attività fumettistica, attività illustrativa e attività pittorica. Il segno di grandi autori della storia dell’arte ha poi ispirato grandi maestri del fumetto: pensiamo ad esempio al rapporto tra Egon Schiele e Angelo Stano.

Inoltre, la biografia d’artista a fumetto non è un genere soltanto legato al graphic novel, ovvero al fumetto inteso come volume autoconclusivo pensato per il mercato delle librerie di varia, impostosi in Italia dai primi anni 2000 con tale etichetta, ma ha avuto una sua vita anche nella stagione del fumetto prevalentemente da edicola.

Ad esempio, lo speciale annuale de Le Storie (bella collana bonelliana oggi purtroppo chiusa in quella concezione originaria), a colori, era iniziato nel 2014 con una biografia romanzata di Caravaggio, di Giuseppe De Nardo e Giampiero Casertano (più o meno negli stessi anni, nel 2015, anche Milo Manara avviò il suo confronto con tale personaggio).

Prima ancora, vi è una tradizione di biografie a fumetti di grandi artisti sulle riviste “educative” come il Corrierino dai ’50 in poi, e il Giornalino dai ’60-’70 in poi (un caso ancora a parte è l’ambito disneyiano, più apertamente giocoso e parodistico nelle sue riscritture, che includono grandi artisti come nel recente omaggio a Raffaello). Una tradizione che sarebbe interessante riscoprire sistematicamente, magari, ma che ha la distinzione di operare in forme brevi.

Casi simili a questi precedenti adattamenti in forma di racconto a fumetti – che citiamo senza, in questa sede, approfondirli – possono essere graphic novel “collettivi” (sia negli autori, sia negli artisti trattati), come il recente “Artiste” di Flavia Luglioli e moltissime disegnatrici, che va a riscoprire le artiste poco note della storia dell’arte, dedicando a ognuna un racconto a fumetti unificato da una cornice generale.

Non mancano inoltre graphic novel che esplorino altri aspetti della storia dell’arte differenti dalla singola personalità artistica: ad esempio “Ettore e Fernanda” di Bacilieri, che esplora un momento cruciale della storia di Brera, e il progetto di “Fumetti nei musei” che, con i principali esponenti del fumetto autoriale di oggi, ha presentato i vari musei.  Ma l’approccio principe mi pare essere appunto la biografia d’artista, che è il caso più immediato di questo rapporto tra arte e fumetto.

La biografia d’artista, a fumetti

Il vantaggio della biografia di un grande artista realizzata a fumetti si muove, appunto, nel mettere in relazione due media entrambi visuali, la pittura (o, come in Escher, l’incisione, la grafica: comunque sempre nell’ambito bidimensionale) e il fumetto. Questo produce l’opportunità di un dialogo forte tra i due segni, quello dell’artista originario e quello messo in campo dagli interpreti (il disegnatore, ovviamente, ma inscindibile nel fumetto dal lavoro di sceneggiatura per quanto riguarda tagli, inquadrature, scelte tematiche…). Chiaramente, i casi più riusciti sono quelli in cui si crea un equilibrio tra segno originale e segno adattativo del fumetto: né un mero ricalco, né un contrasto gratuito, ma un dialogo tra segni che può essere più vicino o più distante, ma assume in ogni caso una ragione precisa.

Numerosi sono i casi di successo che si possono ricordare: il Van Gogh di Gradimir Smudja, il Modigliani di Laurent Seksik e Fabrice Le Henanff, l’Hopper di Rossi e Scarduelli, il Bacon di Cristina Portolano, il Raffaello di Bacchetta e molti esempi casi si potrebbero fare (intensificatisi, a mio avviso, verso la seconda metà degli anni ’10, col vero boom del graphic novel in Italia). Il Gaugin di Fabrizio Dori, in particolare, mi è sempre apparso un caso particolarmente riuscito di questo dialogo segnico tra grande pittura e fumetto. Uno dei casi seminali in ambito italiano di graphic novel d’autore – salvo integrazioni di cui sarò ben lieto di dare conto – dedicato a una figura artistica è probabilmente la Frida Kahlo di Marco Corona, nel 1998, quando ancora il graphic novel non aveva avuto la fiammata che avrà a partire dai primi anni 2000 (e il termine, di fatto, non era ancora diffuso in Italia, al di là della sua affermazione invece consolidata in USA, a partire dal 1978 e da “Un contratto con Dio” di Will Eisner).

Aggiungo inoltre che casistiche leggermente diverse – che qui mi limito ad accennare – mi appaiono quelle di fumetti ispirati a artisti “non bidimensionali”, come scultori o, magari, in ambito contemporaneo, performer e simili, in quanto il  dialogo tra il segno originale e quello fumettistico diviene più distante (anche se altrettanto interessante).

Ad esempio, ho trovato già diverso da una canonica biografia pittorica il valido lavoro su Andy Warhol di Barone e Mozzato, in quanto il gioco di specchi diventava qui più intenso, parlando di un artista che non solo conosceva, per epoca, il fumetto, ma operava sul fumetto come tutta la pop art (un caso più radicale ancora sarebbe quindi una biografia a fumetti di Roy Lichtenstein).

Escher a fumetti

Il caso specifico di Escher a fumetti, affrontato qui in modo a mio avviso molto interessante da Coltellacci e Abiuso, sta ovviamente nella particolarità dell’artista che più di tutti è divenuto iconico per l’uso di giochi visuali in grado di sorprendere, colpire e far riflettere lo spettatore.

Un aspetto evidente fin dalla bella copertina che riprende le multidimensionali scale escheriane, in un modo che ha connessione con la struttura dell’opera.

Non si adotta infatti né una struttura lineare (la storia dell’artista dall’infanzia alla morte) né una struttura “a rebours” (l’artista, in punto di morte, rievoca la sua vicenda, in modo lineare o a episodi) né “in medias res” (la rievocazione parte non dalla fine, ma da una svolta importante). Invece, il giovane Escher è coinvolto, come in sogno, in quei saldi multidimensionali evocati dai suoi infiniti tesseract, e si muove nella propria biografia esattamente come l’osservatore è chiamato a muoversi nelle sue opere, sperdendosi in impossibili salti nel continuum spaziotemporale.

L’opera riesce comunque a mantenere una buona leggibilità, dato che le varie sequenze che si intersecano sono poi al loro interno chiare nel loro sviluppo. Ma la vivacizzazione che viene introdotta nella narrazione, sfuggendo al rischio sempre presente del didascalismo, è notevole, e contribuisce molto ad avvincere il lettore (una breve biografia di Escher viene comunque fornita tra i materiali finali, e può essere anche, arrivati al fondo, strumento per una rilettura più accurata per il lettore meno addentro ai sommi capi del lavoro escheriano).

Una certa sperimentalità, insomma, che Coltellacci aveva già dimostrato nel suo esordio a fumetti in Un singolo passo, narrazione di un Erasmus e quindi, all’apparenza, classico racconto generazionale che però già diveniva occasione per un linguaggio che fosse a un tempo sperimentale e leggibile. Non veniva infatti mai inquadrato interamente il volto del protagonista, indizio ovviamente del suo stesso percorso di conoscenza imperfetta di sé tramite l’Erasmus come rito di passaggio.

Anche qui, la narrazione piuttosto movimentata di Coltellacci conferma quindi questa scelta dello “sperimentale leggibile”, e porta di nuovo ad affiancarsi a un disegnatore, Abiuso, che possa funzionare come correlativo oggettivo nelle scelte visuali.

Il segno di Abiuso – al suo esordio nel graphic novel – è di grande bellezza visiva, con una morbidezza piacevole che ben si sposa al colore delicato (dello stesso autore) che firma anche la copertina (e la raffinata texture interna, dove il volto di Escher viene reso come un tassello di una delle sue scacchiere impossibili).

Abiuso dialoga quindi bene, con i principi che avevamo detto prima, con le immagini escheriane, che appunto vengono integrate direttamente nella narrazione apparendo più spesso come visioni date ad Escher protagonista durante questo suo viaggio mentale che non come quadri puri e semplici. Alla fine, una puntuale bibliografia evidenzia tutte le opere citate e inserite nella trama, e si può apprezzare quanto sia fitto il riferimento preciso allo stile dell’artista. Al contempo, Abiuso ha – come si vede chiaramente dalle immagini qui riproposte – un segno ampiamente personale, che rilegge con garbo lo stile escheriano, aggiungendovi ad esempio (per citare l’elemento più vistoso) il colore, laddove in Escher prevale la grafica in bianco e nero.

Tra i materiali finali, oltre all’elenco delle opere e la breve nota biografica escheriana, troviamo anche alcuni esempi di passaggi dalla sceneggiatura alla tavola, che mi paiono particolarmente utili in caso di uso didattico del fumetto, una dimensione cui, da insegnante di lettere, tengo molto e a cui Tunuè è come editore molto attento. La lettura dell’opera diviene così strumento per capire meglio il linguaggio fumettistico, oltre ad avere una possibile spendibilità a scuola (direi prevalentemente tra medie e superiori, per un linguaggio volutamente non lineare) per la sua capacità di mediare un autore che affascina spesso i ragazzi all’approfondimento, una volta scoperto.


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