Il limite del mondo è un libro con due copertine e due storie che si incrociano al centro del volume: entrambe sono ambientate in un futuro distopico eppure pericolosamente vicino nel quale il cambiamento climatico è una difficile realtà con cui convivere. Entrambe hanno per protagonisti dei personaggi giovani, inquieti e abbastanza coraggiosi da accettare una sfida cui gli adulti hanno rinunciato: lottare per un mondo migliore.
A parlarci di questo graphic novel sono gli autori stessi, Francesco Memo e Barbara Borlini. Ecco di seguito la loro intervista.
Se doveste raccontare Il limite del mondo in una sola, brevissima frase, quale sarebbe?
In un futuro a noi vicino, che possiamo già vedere tra le pieghe dell’oggi, quattro giovani inquieti si ribellano al loro destino e si confrontano con l’anormale normalità della crisi climatica.
Il limite del mondo è un double side book o anche, secondo una dicitura nata nel XIX secolo, un tête-bêche: ossia un libro con due copertine e due storie, fatto in modo tale che per passare dalla prima alla seconda storia basta capovolgere il volume. Perché avete scelto questo formato così particolare?
Questo formato ci intrigava innanzitutto per le sfide che pone sul piano narrativo. Il lettore può iniziare indifferentemente da una parte o dall’altra; quindi, le due storie hanno una propria autonomia, anche se sono costruire su un modello comune: al centro hanno un giovane protagonista, da un lato abbiamo Eva e dall’altro Yves, con affianco un coprotagonista che farà cambiare il loro sguardo sul mondo; entrambi nel corso delle pagine scopriranno segreti fondamentali sul proprio passato di cui erano all’oscuro, ecc… Ci sono anche fissazioni da nerd in questa scelta, non lo neghiamo: basti dire che le due storie hanno lo stesso numero di pagine e si incontrano al centro esatto del libro! Al contempo, però, le due storie, una volta lette insieme, compongono un quadro comune; possiamo dire che si completano a vicenda. Questo ci ha permesso di creare dei ponti, delle interrelazioni tra i due mondi, dei rispecchiamenti tra uno e l’altro. Ma questo formato ha un significato anche rispetto al tema di cui trattiamo nel libro: il cambiamento climatico. Innanzitutto, è vero che abbiamo due mondi apparentemente isolati se non addirittura opposti (il mondo urbano di Eva e quello della montagna di Yves), ma il formato tête-bêche ci permette di mostrare che in realtà le due ambientazioni sono legate tra loro, perché il cambiamento climatico è un problema globale che non conosce confini. In secondo luogo, le due storie si incontrano al centro del libro e il finale è in mano alla fantasia del lettore. E anche questa caratteristica ha un significato simbolico sul piano climatico: nonostante il tempo per agire si stia sempre più riducendo, l’esito finale delle sfide che stiamo vivendo non è ancora scritto. Dipende dalle scelte che facciamo e che faremo, a partire anche dal nostro quotidiano: come ci nutriamo, come ci muoviamo, quali priorità ci diamo, come votiamo e ci mobilitiamo, ecc…
Ne Il limite del mondo ci sono ben quattro protagonisti adolescenti, di diversa estrazione sociale, origine etnica e personalità. Tutti però hanno in comune una cosa, la volontà di ribellarsi allo status quo. Vi va di presentarli?
Eva è una ragazza che per poter volare deve rompere le sbarre della gabbia dorata in cui è rinchiusa. La casa grande e luminosa in cui vive (in un quartiere rinfrescato artificialmente, prerogativa dei ceti più abbienti della città), e gli ambienti controllati in cui si muove, sono gli specchi di questa morbida oppressione. Sotto la cenere di una vita tranquilla, cova però un’anima fiammeggiante e imprevedibile.
Adam invece è un ragazzo dull, come vengono chiamati i poveri che vivono nella periferia calda e inospitale. Fa il rider in bicicletta e si occupa di sua sorella Nora, che aspetta un bambino, prendendosi sulle spalle responsabilità più grandi di lui. Ma negli interstizi di questa prosaica realtà, Adam immagina un altro mondo, dove lasciarsi sommergere dalla poesia di paesaggi mai visti, di sconfinata bellezza e libertà.
Nel lato della montagna il protagonista è Yves: un ragazzo un po’ selvatico abituato al silenzio e alla compagnia delle capre. Ogni giorno Yves scende in valle con una vecchia moto da enduro per raggiungere la scuola e fare il tirocinio nelle serre verticali per l’agricoltura idroponica. Il lavoro è alienante, i compagni lo deridono. Ma se anche le pietraie sui monti cambiano forma, pure la vita di Yves può rivelarsi diversa da ciò che sembra.
Infine c’è Wei, fascino androgino e irriverente, serve piatti fusion nel ristorante cinese di famiglia. Wei è insofferente per come la montagna, e la valle in cui vive, sono state snaturate dalla miniera e dall’impianto di cattura della CO2 della CarbCap, una grande azienda di geoingegneria che promette sviluppo e lavoro per tutti. Ma Wei non si rassegna e insieme ad altri giovanissimi attivisti si ribella a tutte queste ingiustizie.
Al contrario degli eroi adolescenti, gli adulti de Il limite del mondo non sono mai modelli positivi, sono sempre egocentrati, anche quando difendono i loro ideali. L’incapacità di tenere in considerazione le esigenze dell’altro – che sia il prossimo o il pianeta in cui viviamo – secondo voi è una forma di miopia che si riscontra inevitabilmente con l’avanzare dell’età o è la caratteristica di specifiche generazioni? È un difetto innato o è un problema culturale?
Ottima osservazione! Gli adulti dal nostro libro ne escono piuttosto male, in effetti, e questa è un’amara constatazione per la nostra generazione (e non solo per la nostra, a dir la verità). Senza voler fare un j’accuse a priori, è indubbio che le responsabilità della crisi attuale stanno sulle spalle di chi continua a portare avanti i propri affari come se nulla fosse, anzi spingendo ancora di più sull’acceleratore del consumo e della distruzione: emissioni climalteranti, inquinamento, adesso anche la guerra e gli armamenti come motore economico… Chi ha il potere in mano appartiene alle generazioni più adulte, se non anziane, c’è poco da fare. E la voce dei giovani – che pure si è fatta sentire in questi anni, dal movimento per il clima a quello contro il massacro in Palestina – non viene per nulla ascoltata. Anzi, il dissenso e l’attivismo dei giovani oggi vengono sempre più repressi, anche violentemente. Quindi, per tornare alla tua domanda: è un problema innato o culturale? O detto con altre parole: cosa possiamo fare per cambiare? Nel fumetto i nostri personaggi adulti affrontano questa domanda in modi molto diversi, se non opposti. Ma è ai giovani protagonisti, e alla loro capacità di scrollarsi di dosso lo status quo, che guardiamo con più simpatia e speranza.
Il limite del mondo è un graphic novel distopico in cui si parla di una serie di innovazioni tecnologiche che vengono spiegate nei dettagli. Questa operazione di worldbuilding è stata per voi faticosa o divertente?
Diciamo che è stato faticosamente divertente. Del resto, ce la siamo cercata: volevamo confrontarci con una narrativa di anticipazione, che seppur ancorata al presente, ha dei tratti di fantascienza. Quindi abbiamo fatto i conti con tutti quegli aspetti di genere legati al world building, in particolare nell’immaginare una società tecnologicamente avanzata ma socialmente ed ecologicamente fragile. Come vivranno le città attanagliate dalle ondate di calore? Come sarà la montagna senza neve e con sempre meno acqua? Quali soluzioni, o scorciatoie, si cercheranno per “aggiustare” il clima? Fa un po’ impressione oggi leggere i giornali e scoprire che cose che tre o quattro anni fa sembravano pura fantascienza adesso sono realtà. Abiti termoregolanti, città che vivono al chiuso dell’aria condizionata, siccità e lotte per l’acqua, società di geoingegneria che annunciano di aver trovato la “bacchetta magica” per eliminare la CO2…non tutto è oro ciò che luccica, soprattutto se l’obiettivo è distrarci per continuare ad alimentare l’economia predatoria dei fossili, che sta spingendo il pianeta verso l’incubo climatico. Non possiamo accettare che la natura e l’ambiente siano considerati come un pozzo senza fondo, da sfruttare e deturpare. È difficile essere ottimisti, ma non dobbiamo rassegnarci né alla paura climatica, né alla indifferenza. E forse anche una storia a fumetti può aiutare in questo.
Perché il mondo raccontato in queste due storie ha una palette di colori ridottissima, quasi una bicromia?
Il colore nelle tavole del fumetto ha una funzione che non è realistica – infatti, come hai notato, la palette è ridotta al minimo – ma diegetica, cioè di sottolineatura di aspetti ambientali e psicologici. La principale linea del colore è quella tra caldo e freddo, perché segna la distanza tra quartieri dull e cool nella città di Eva: negli ambienti caldi abbiamo un arancione diffuso, mentre in quelli rinfrescati dall’aria condizionata prevale l’azzurro e il bianco freddo. Psicologicamente questa opposizione comunica al lettore una sensazione di disagio e soffocamento, da una parte, e di insensibilità e asetticità, dall’altra. Ma la palette ridotta di colori rimanda anche all’idea di un mondo che ha perso in diversità e bellezza, e questo lo vediamo soprattutto nella parte in montagna di Yves. Con il riscaldamento globale siamo ormai entrati in un territorio inesplorato, dove l’ambiente che abbiamo conosciuto si sta disfacendo davanti ai nostri occhi, con perdite drammatiche di ecosistemi e specie, ma anche perdita irreversibile di bellezza. La riduzione della biodiversità e lo stress climatico portano a paesaggi sempre più poveri e fragili. E ce ne possiamo accorgere anche nella nostra esperienza quotidiana: pensiamo, ad esempio, al vuoto di bellezza che lascia un ghiacciaio che scompare per sempre, o al senso di perdita di fondali marini sempre più spogli e con poca vita.
Ne Il limite del mondo citate esplicitamente la scienziata Lynn Margulis e la cosiddetta “ipotesi Gaia”. Come mai vi hanno ispirato?
Come spiega Telmo Pievani nel contributo scritto per il libro, Margulis ha proposto l’idea che la cooperazione e la simbiosi siano forze fondamentali della vita, idea rivelatasi poi vincente e fondata. L’evoluzione come un trionfo della rete e della fusione, e non della lotta del più forte sul più debole. Anche la famosa ipotesi Gaia, formulata sempre da Margulis insieme a James Lovelock, si basa su un’intuizione simile: il pianeta Terra come grande sistema auto-organizzato, fatto di reti intrecciate che legano tra loro tutti i viventi, dai batteri ai grandi organismi, con i complessi cicli chimico-fisici di regolazione. Questa idea mutualistica è intrinsecamente bella, e ci ha colpito molto. Lynn Margulis ha avuto il coraggio di rivoluzionare il modo di vedere il pianeta e l’evoluzione, proponendo una visione che ci sembra molto utile oggi per affrontare la crisi climatica, nonostante molti scienziati per lungo tempo abbiano sminuito le sue ricerche e il suo approccio. Per questo abbiamo deciso di dedicare il personaggio della mamma di Eva a Magulis. Entrambe sono scienziate ed entrambe sono donne libere e ribelli.
L’idea che la cooperazione possa essere una delle chiavi dell’evoluzione potrebbe aiutarci a ridefinire il concetto di progresso o a cestinarlo definitivamente? Come risponderebbero a questa domanda gli eroi adolescenti de Il limite del mondo?
Yves probabilmente risponderebbe che dobbiamo imparare ad uscire dal consumismo e dall’insoddisfazione indotta, ad esempio come fa suo nonno, aggiustando cose vecchie e ritenute ormai inutili. Quindi il progresso come ricerca di ciò che ci serve veramente, e non di ciò che possiamo sostituire semplicemente perché nuovo o all’ultima moda. Wei direbbe invece che il progresso è avere speranza che le cose possano cambiare: e per farlo dobbiamo metterci insieme, aiutarci, lottare anche, per non lasciare che siano i più forti e potenti a decidere per noi. Adam forse direbbe che non c’è progresso quando le ingiustizie si allargano sempre più, quando i ricchi hanno le soluzioni e i poveri tutti i problemi. Eva…bhe, forse ci inviterebbe a guardare ad un progresso che non tenga fuori gli altri animali e organismi, perché considerarci superiori e unici ci sta portando alla distruzione del mondo e di noi stessi.
In che modo secondo voi possiamo allenare la nostra sensibilità in modo da comprendere davvero che il cambiamento climatico è un problema che ci riguarda?
Questo è un punto molto importante. Siamo bombardati da notizie allarmanti, e tocchiamo ormai con mano gli effetti di un clima che abbiamo fatto impazzire, ma nello stesso tempo continuiamo a portare avanti la nostra vita come se nulla fosse. Come scuoterci e risvegliarci da questo sonno? Quando abbiamo iniziato a lavorare a Il limite del mondo avevamo chiaro una cosa, che non volevamo proporre la solita rappresentazione catastrofista della crisi climatica. Perché mettere in scena i disastri crea un effetto di assuefazione e, alla fin fine, anche una forma di compiacimento. Un’estetica dell’apocalisse, o post-apocalisse, che non ci interessa. Inoltre, si finisce per rinforzare un’idea di distanziamento: è qualcosa di eccezionale, qualcosa che riguarda altri, mentre noi rimaniamo spettatori; o qualcosa su cui, ad ogni modo, non possiamo intervenire. Ne Il limite del mondo abbiamo tentato di proporre un’idea diversa: come possiamo rappresentare un mondo in cui gli effetti del riscaldamento globale sono diventati una normalità? Come vivono i nostri personaggi, che sono adolescenti, in questa nuova anormale normalità? Lasciamo ai lettori valutare se questo approccio è efficace nel farci sentire parte in causa del problema climatico.