Di Lorenzo Barberis
Bianco intorno (fedele all’originale “Blanc autour”) scritto da Wilfrid Lupano e disegnato da Stéphane Fert, è un interessante fumetto dell’editore Dargaud recentemente edito in Italia da Tunué nella collana Ariel, con traduzione di Stefano Andrea Cresti e lettering di Giuseppe Allegrini. L’opera affronta con sensibilità il tema dell’oppressione dei neri americani negli Stati Uniti dell’800.
Il fumetto è indubbiamente importante anche per gli autori coinvolti nella sua realizzazione, nomi di primo livello del fumetto francese.
Lo sceneggiatore, Wilfrid Lupano (Nantes, 1971) ha esordito nel 2001 con Little Big Joe, serie umoristica ambientata nell’America del XIX secolo. Verso la metà degli anni ’10 ottiene numerosi riconoscimenti francesi per il suo lavoro di sceneggiatore: il Prix des Libraires per il fumetto (2013) per Le Singe de Hartlepool disegnato da Jérémie Moreau, il prix de la BD Fnac Belgique (2015) per la singolare storia muta Un océan d’amour disegnata da Panaccione, e il Prix du public Cultura al Festival d’Angoulême (2015) per Les Vieux Fourneaux disegnato da Paul Cauuet. Nel 2017 ha lavorato sulla storica serie di fantascienza francese Valerian, e nel 2019 ha rifiutato la nomina a Cavaliere delle Arti e delle Lettere in dissenso con la politica di Macron.
Il disegnatore, Stéphane Fert (n. 1985) si contraddistingue, come vedremo, per segni e colori morbidi e fiabeschi, secondo stilemi da lui elaborati a partire dal suo primo graphic novel, Morgana (2016), in cui affronta come autore completo la figura della malvagia fata del ciclo arturiano, reinterpretandone la figura in una chiave femminista. In modo simile, anche nel suo Pelle di mille bestie, tratto dalla celeberrima fiaba di Pelle d’Asino, rilegge in chiave moderna la figura della principessa in fuga da un matrimonio non desiderato. L’opera ha vinto il Prix BD du Festival des Imaginales d’Epinal. Questo nuovo lavoro, quindi, si situa da un lato in continuità con la sua produzione precedente – per lo sviluppo di una storia sull’emancipazione femminile – ma anche un’evoluzione interessante, in cui l’autore mette il suo segno al servizio di una storia non solo realistica, ma storica, in contrasto con la dimensione fiabesca precedentemente esplorata.
Se quindi indubbiamente l’opera merita attenzione anche per il livello degli autori coinvolti, il suo grande interesse – anche in chiave potenzialmente didattica – è però legato al tema che affronta, in modo coraggioso e delicato. Un tema, purtroppo, che resta tuttora di stringente attualità, dato che gli attuali problemi di razzismo sistemico negli USA dei nostri giorni affondano le radici nello schiavismo ottocentesco, e una comprensione corretta di tale questione è indispensabile per capire il nostro oggi.
Il peccato originale della schiavitù si collega inestricabilmente al colonialismo europeo, dopo la scoperta dell’America nel 1492, con la riduzione in schiavitù di popolazioni amerindie e l’avvio della tratta degli schiavi, attestata fin dal 1502, a Hispaniola.
Negli USA, il contrasto tra schiavisti e abolizionisti si concluse, come noto, con la Guerra Civile Americana (1861-1865), successiva all’elezione di Abramo Lincoln quale presidente americano (1860) e la conseguente secessione degli stati del Sud. Solitamente, è questo il nucleo tematico storico con cui la questione viene affrontata scolasticamente. Tuttavia può essere utile approfondire la maggiore complessità della questione, prima e dopo questo spartiacque storico.
Questo fumetto è significativo al proposito, poiché la sua ambientazione si colloca negli anni che precedono il conflitto, concentrandosi su due eventi storici importanti di questa tragica storia, poco noti soprattutto in Europa. Siamo nel 1831: nel 1807 si era posto fine al traffico di schiavi dall’Africa, ma l’alto numero di schiavi presenti sul territorio americano lo rendeva del resto superfluo. L’Inghilterra aveva abolito la schiavitù nei suoi domini nel 1833, e lo stesso anno sorse ufficialmente la società abolizionista americana, composta di un direttivo misto di bianchi e neri. Il movimento abolizionista aveva preso le sue mosse dai Quaccheri, già nel 1775, perfino prima della dichiarazione d’Indipendenza del 1776: e alla confessione quacchera apparteneva anche Prudence Crandall, la maestra al centro della storia del fumetto. Entro gli anni ’40 dell’Ottocento il tema era divenuto oggetto diffuso di dibattito, e nel 1852 il romanzo di Harriet Beecher Stowe, La capanna dello zio Tom, divenne il manifesto del movimento abolizionista (nonostante oggi sia, giustamente, messo in discussione un certo atteggiamento paternalista presente nell’opera).
Questo il contesto in cui si muove la nostra storia, che fonde il riferimento a due fatti storici ravvicinati e in qualche modo, benché non strettamente, connessi.
Il primo, che sta sullo sfondo della storia, e viene solo evocato, è la ribellione schiavile di Ned Turner, che portò all’uccisione in Virginia di una sessantina di persone, in gran maggioranza bianchi. La cosa fu ovviamente immediatamente repressa con estrema durezza e con un inasprimento dell’oppressione schiavista.
Turner, caratterizzato da una notevole intelligenza, aveva appreso fin da giovane a leggere e scrivere. Profondamente religioso, si dedicò a un intenso studio biblico e iniziò a ritenere di ricevere delle visioni divine che lo incaricavano di una missione, iniziando a essere nominato come Il Profeta tra gli schiavi. Nel 1828 inizia a maturare la sua convinzione di dover compiere un grande atto dimostrativo per volere divino: il segnale sarà un’eclissi solare il 12 febbraio 1831, che porterà all’avvio dell’insorgenza.
Il secondo evento storico, che è invece il vero fulcro della narrazione, sono le vicende della Canterbury Female Boarding School, in Canterbury, Connecticut, dal 1831 al 1834. La fondatrice della scuola, Prudence Crandall, di fronte all’ostilità della comunità all’idea di accogliere anche ragazze di colore tra le allieve, decise di trasformare la scuola in un istituto rivolto solamente all’istruzione delle ragazze nere. Va notato che ci troviamo in uno stato del Nord, dove la schiavitù è ormai abolita: ma la reazione della comunità è comunque ostile e violenta, anche sull’idea (immotivata) che la presenza della scuola potrebbe attrarre troppe persone nere nella città, cosa vista come un pericolo per la popolazione.
Il Bianco intorno, quindi, non è in questo caso il celebre “spazio bianco” che rende possibile la narrazione del fumetto, ma la società bianca – in gran parte ostile – che circonda questo primo esperimento di emancipazione nera femminile.
La vicenda è il primo vero caso di diritti civili dei neri che viene discusso davanti a una Corte americana, e la sua influenza crea un precedente giuridico che sarà rilevante ancora nel secondo dopoguerra, quando nel 1954 inizierà la battaglia sulla segregazione razziale scolastica (nel sistema di Common Law britannica in adozione anche negli USA, i precedenti hanno un particolare rilievo).
La battaglia contro l’istruzione dei neri venne condotta in particolare da un rilevante politico di Canterbury, Andrew T. Judson. Nei suoi scritti privati, Judson evidenzierà come la sua opposizione non è solo alla presenza della scuola in città, ma alla stessa idea di una istruzione per i neri. Judson fu infatti, storicamente, un membro della American Colonization Society, fondata nel 1816, la quale sosteneva che i neri liberi dovessero essere incoraggiati a tornare in Africa, nel neonato stato della Liberia.
Ovviamente, la posizione di Judson ignora ipocritamente il doppio colonialismo, con lo sterminio dei nativi americani in USA e il colonialismo europeo in Africa che rendeva impossibile il ritorno.
Curiosamente, Judson rimase coinvolto, come giudice, in un altro caso famoso, quello della Amistad, nel 1840, dove si espresse in favore degli africani resi schiavi e deliberò che fossero liberati e riportati in Africa. Dalla vicenda fu tratto un celebre film di Steven Spielberg, intitolato appunto Amistad (1997), che mostra questo nuovo significativo episodio, un’altra tappa nello scontro tra abolizionisti e schiavisti.
Le vicende storiche al centro della narrazione sono trattate dai due autori in modo raffinato e complesso, con delicatezza (che rende il fumetto adatto anche a fasce d’età più giovani, come gli studenti delle medie) ma anche riportandone la complessità, a partire dai due episodi che si intrecciano nell’opera, trattando della lotta non violenta al razzismo rappresentata dalla battaglia dell’educazione, ma anche della risposta violenta della rivolta di Turner.
L’elegante segno morbido e tondeggiante di Fert, in vignette dai contorni smussati e sfumati, contribuisce a ingentilire la narrazione, senza edulcorarla. La fedeltà nel riportare i fatti storici affrontati si intreccia con la loro problematizzazione, che rende quest’opera particolarmente utile per una più ampia riflessione sulla questione del razzismo anche al di là dell’episodio storico in sé.
Il tema di fondo è, ovviamente, il confronto tra due modelli, quello di Turner e quello della scuola di Prudence e delle sue allieve. La violenza va combattuta con la violenza? O con metodi pacifici, non-violenti, come la diffusione dell’istruzione?
Come dice una delle allieve, prendendo la distanza dai metodi di Turner (alcune li condanneranno, altre meno): “non erano solo neri, schiavi e cristiani: erano uomini”. Si pone così anche il tema dell’intersezione tra l’oppressione etnica e quella in base al genere, unitamente anche al tema religioso, con una ragazza che torna ad una sorta di religione naturale della dea madre, e col personaggio di un’anziana (bianca) isolata dal villaggio e creduta come strega.
Si evidenzia anche nell’opera come le donne non abbiano diritto di parola nell’assemblea cittadina, né ovviamente tantomeno diritto di voto.
Ma anche il tema stesso dell’accesso alla cultura come via di liberazione viene problematizzato sia dall’esterno, col personaggio di Selvaggio, che apprezza Nat Turner e ritiene una scelta più debole il cammino dell’istruzione, sia dall’interno, col personaggio di Sarah, che è irritata spesso da Selvaggio e dal suo culto di Turner, ma proprio studiando giunge a una visione critica dell’istruzione che sta ricevendo.
“Imparate docili la cultura dei bianchi! Venerate gli scrittori dei bianchi, la storia scritta dai bianchi! I nomi degli uomini bianchi famosi! La filosofia dei bianchi!” grida Selvaggio / Charles.
E, più avanti, sarà Sarah a riprenderne il concetto: “Alessandro il Grande, l’Iliade, Cristoforo Colombo, la Mayflower… Ma ho bisogno di capire la differenza tra un ignobile massacro e un’eroica conquista. Perché non la vedo, signorina.” Laddove Turner viene condannato per le sue violenze contro gli innocenti, anche da molti abolizionisti, la violenza insita nella storia occidentale viene condonata come trascurabile effetto collaterale.
Per contro Judson, il leader dei segregazionisti, preferisce la posizione della rivolta violenta, che compatta i bianchi, alla richiesta di istruzione, che rischia di modificare in profondità, col tempo, i rapporti di forza: “Ne preferisco cento come lui a dieci come loro. Quel che dobbiamo salvaguardare, è la separazione.”
Il fumetto si conclude poi con la chiusura delle vicende della scuola, e la sua distruzione da parte di una folla inferocita nel 1834. La vittoria legale, senza un cambiamento culturale reale e una tutela effettiva da parte della legge, sembra inizialmente una vittoria di Pirro. Ma una ampia postfazione, con le parole di Joanie Di Martino, Direttrice del museo Prudence Crandall, integra copiosamente i fatti consentendo di ricostruire le successive vicende della maestra e delle sue allieve, una prima generazione di donne nere istruite che continuarono a intrecciare le loro vicende alla causa abolizionista e dei neri d’America.
Nello strutturare un ipotetico percorso, altri testi fumettistici – per un pubblico almeno in parte più maturo – permetterebbero poi di indagare la questione anche ai giorni nostri, e anche nella società europea: ad esempio, Negri gialli di Yvan Alagbè autore completo, che analizza la difficile situazione dell’integrazione nella Francia postcoloniale, e Terranera di Palloni e Martoz, che indagano lo sfruttamento dei migranti nell’agricoltura in ambito italiano, inserendo il tema in una storia d’azione noir cara allo sceneggiatore. Naturalmente, in un ipotetico percorso didattico, ci sarebbero molteplici possibili spunti letterari da collegare: ne segnaliamo, anche qui, due a titolo d’esempio. L’alfiere nero di Arrigo Boito è un racconto del grande maestro della scapigliatura, che con una certa modernità (e posizioni abolizioniste) inserisce il tema della oppressione razziale in un suo racconto orrorifico “alla Poe”, ma con una declinazione personale. O, più vicino a noi, una raccolta come Africana di Iciaba Scego, in grado di presentare il volto delle letterature africane contemporanee nella loro modernità, oltre gli stereotipi.
Ma, naturalmente, molti altri percorsi si potrebbero costruire, tra cinema, fumetto e letteratura. Quello che più ci interessa qui sottolineare è come anche il fumetto possa essere uno strumento di piena dignità per indagare in chiave storica i grandi problemi del nostro tempo: e Bianco intorno lo dimostra pienamente.