di Arianna Mancini
Acqua. Terra. Fuoco. Aria.
Mia nonna mi ha sempre raccontato meravigliose storie dei tempi passati, un’epoca di pace in cui l’Avatar manteneva l’equilibrio tra le Tribù dell’Acqua, il Regno della Terra, la Nazione del Fuoco e i Nomadi dell’Aria. Ma tutto questo cambiò quando la Nazione del Fuoco decise di attaccare. Solo l’Avatar, padrone di tutti e quattro gli elementi avrebbe potuto fermare il feroce e inesorabile conflitto. Ma proprio quando il mondo ne aveva più bisogno, lui scomparve.
Sono passati 100 anni e io e mio fratello abbiamo scoperto il nuovo Avatar, un dominatore dell’aria di nome Aang. Nonostante la sua abilità nel dominio dell’aria, ha ancora tanto da imparare.
Ma io ne sono certa: Aang, salverà il mondo!
In un mondo fantasy in cui la popolazione si suddivide in Quattro Nazioni, ognuna rappresentata un elemento naturale, irrompe la guerra a causa della Nazione del Fuoco. Cent’anni dopo i fratelli della Tribù dell’Acqua, Sokka e Katara, liberano da un lungo sonno Aang, un Nomade dell’Aria dal carattere spensierato e gentile. Il ragazzino altri non è che l’Avatar, l’unico in grado di dominare tutti e quattro gli elementi nonché il ponte tra il mondo degli umani e quello degli spiriti. Katara e Sokka decidono di aiutare Aang a realizzare il suo destino di ristabilire l’equilibrio e fermare la guerra, e a loro presto si aggiungerà Toph, un’abile dominatrice della terra.
In groppa al gigantesco bisonte volante Appa e in compagnia del lemure alato Momo, il gruppo sfuggirà dal Principe del Fuoco, Zuko e attraverserà i territori delle Tribù dell’Acqua, del Regno della Terra e della Nazione del Fuoco per consentire ad Aang di padroneggiare i suoi poteri in vista dello scontro finale con il Signore del Fuoco Ozai.
Questa è Avatar – The Last Airbender, la saga creata da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko. Nata come serie d’animazione prodotta da Nickelodeon per 3 stagioni (2005-2008), è diventata nel tempo un franchise multimediale che conta diversi titoli, tra libri, fumetti, videogiochi, film e serie live action. In particolare, c’è la serie a fumetti scritta dall’autore premio Eisner Gene Luen Yang. C’è il sequel, The Legend of Korra, composto da una serie tv e l’omonima serie a fumetti firmata sempre da DiMartino e Konietzko. C’è un prequel, Cronache dell’Avatar, un ciclo di romanzi che approfondiscono alcuni personaggi citati nelle storie precedenti (abbiamo messo in ordine i capitoli QUI).
Avatar ha guadagnato premi e riconoscimenti, il plauso della critica e l’affetto di diverse generazioni di fan per la sua capacità di raccontare l’amicizia e il coraggio, di rivelare come la lotta tra il bene e il male avvenga nell’animo delle persone prima ancora che in campo aperto, e di mostrare come restare fedeli a sé stessi sia essenziale per trovare il proprio posto nel mondo.
Tutto cominciò a una festa di Halloween
La storia di Avatar comincia circa dieci anni prima il suo debutto su Nickelodeon. Nel 1995, durante la festa di Halloween della Rhode Island School of Design, il giovane Michael Dante DiMartino, ormai prossimo alla laurea in cinema e animazione, incontrò un ragazzo che, con indosso un costume da rettile fatto a mano, girava con un cartello con su scritto “Iguana-Man” e sparava agli ospiti cartucce di gomma da un fucile giocattolo. Si trattava di Bryan Konietzko, anche lui studente dello stesso istituto. Divenuti amici, l’anno successivo i due si trasferirono a Los Angeles dove cominciarono a lavorare per lo studio Film Roman, a realizzare piccoli corti d’animazione indipendente e a collaborare a serie animate di successo come King of the Hill e I Griffin.
Oltre a spendersi su serie altrui, DiMartino aveva un suo progetto personale, Atomic Love, incentrato su un uomo bassino, pelato e dalle orecchie a sventola (come l’autore stesso), accompagnato da una coppia di amici bizzarri, un piccolo robot e un animale che sembrava un incrocio tra un cane e un orso. Definita l’idea grazie anche all’aiuto di Konietzko, DiMartino presentò il progetto a Nickelodeon nel 2002, nel momento in cui si era chiusa una serie di cui era stato direttore artistico ed era alla ricerca di qualcosa da fare. Il progetto Atomic Love non piacque alla produzione: il protagonista adulto e calvo, che ricordava un impiegato di mezza età, e il contenuto serioso della storia mal si adattavano al pubblico giovane di Nickelodeon, abituato a titoli leggeri e dall’umorismo demenziale come Mucca e Pollo, Spongebob e CatDog.
Tutti gli ingredienti per una ricetta vincente
DiMartino e Konietzko non desistettero e si misero nuovamente al lavoro sul progetto, ripensandolo completamente alla luce di alcuni elementi che avrebbero intercettato l’interesse del network. In primo luogo, serviva una storia di avventura in cui l’azione non sconfinasse mai nella violenza esplicita. Inoltre, sarebbe stato utile usare con intelligenza l’elemento della magia, ricreando quell’atmosfera impregnata di leggenda propria de Il Signore degli Anelli e Harry Potter, saghe fantasy che in quegli anni stavano spopolando al cinema.
DiMartino e Konietzko decisero però di prendere le distanze dall’ambientazione europea che, in chiave mitologica o contemporanea, distingueva le storie di Tolkien e Rowling, guardando verso l’Estremo Oriente. Furono fortemente influenzati dall’animazione giapponese, e in particolare dai film di Hayao Miyazaki e dello Studio Ghibli, che aprivano mondi nati dalla commistione di elementi realistici e fantastici, pieni di creature immaginarie e di scenari naturalistici. Per le ambientazioni, il character design e anche per l’ispirazione di fondo della storia guardarono alla cultura tibetana e cinese, alla filosofia buddista e alla tradizione delle arti marziali, quest’ultima mutuata soprattutto dal filone cinematografico sul kung fu.
Una volta approvato il progetto, gli autori presero una decisione importante anche dal punto di vista tecnico: lo stile dell’animazione doveva porsi come una commistione tra gli stilemi grafici degli anime giapponesi e l’espressività e la mimica distintiva dei cartoni animati americani. Lo standard dell’animazione doveva adeguarsi a quello statunitense basato su una media di 16-24 fotogrammi al secondo, non a quello giapponese, che si basava invece su 8-12 fotogrammi al secondo. Questa scelta avrebbe garantito sequenze più fluide ma implicava una lavorazione più laboriosa, per far fronte alla quale vennero coinvolti tre studi di animazione, JM Animation’s in Corea del Sud e DR Movie e MOI Animation negli Stati Uniti.
Puntando molto anche sulla qualità della scrittura, DiMartino e Konietzko coinvolsero nel progetto altri sceneggiatori di comprovata professionalità, tra cui Aaron Ehasz, già story editor di Futurama, e Dave Filoni, che poco dopo sarebbe diventato celebre come regista e supervisore di Clone Wars.
Avatar – The Last Airbender andò in onda dal 2005 al 2008, per tre stagioni, durante le quali Nickelodeon registrò un boom di ascolti. La serie collezionò nel tempo diversi riconoscimenti – Annie Awards, Genesis Awards, Primetime Emmy Awards, Kids’ Choice Awards e Peabody Awards.
Eroi ed eroine adolescenti
Nel ripensare la serie, DiMartino e Konietzko non rinunciarono all’idea iniziale e originalissima di un protagonista dalla testa calva e dalle orecchie a sventola: sarebbe stato non più un adulto ma un ragazzino di 12 anni, dalla corporatura asciutta e con un tatuaggio a forma di freccia sulla fronte. Rinunciarono presto all’idea di farne un guerriero futuristico munito di armi tecnologiche alla Star Wars. Restando fedeli all’ispirazione orientale scelsero di renderlo un monaco dal carattere gentile e vivace, rispettoso della vita altrui, vegetariano, riluttante a praticare il combattimento.
Aang cominciava a prendere forma.
In uno dei primi sketch in cui gli autori esploravano le possibilità del personaggio, lo disegnarono seduto sulla testa di una bestia enorme che ricordava vagamente un bisonte e che volava. Questa immagine fu il punto di partenza per definire alcuni elementi cardine non solo di Aang, ma anche della storia e del mondo di Avatar. Quel ragazzino dal carattere gentile, che cavalcava una bestia volante e girava il mondo, sarebbe stato un nomade abituato a vivere tra le nuvole. L’idea dell’aria suggerì che altri personaggi potevano invece essere legati all’acqua, e che gli antagonisti potessero invece essere associati al fuoco, l’elemento distruttore per antonomasia. Nacque così l’idea di un mondo diviso in quattro nazioni, ciascuna legata a uno dei quattro elementi, acqua, aria, terra e fuoco. L’elemento magico consisteva nel fatto che alcune persone sarebbero state in grado di “dominarli” e di usarli sia per scopi creativi e costruttivi sia nel combattimento. L’eroe Aang avrebbe avuto un valore aggiunto: sarebbe stato in grado di dominare tutti e quattro gli elementi, e questo suo talento avrebbe coinciso con il suo destino e determinato il suo percorso di crescita.
Se Aang era legato all’aria, i personaggi a lui più vicini sarebbero stati associati agli altri elementi. All’acqua appartiene la coppia di fratelli uniti ma litigiosi che fin da subito accompagnano il protagonista nel suo viaggio: Sokka, “il ragazzo della carne e del sarcasmo”, aspirante guerriero, ingegnoso e orgoglioso, e Katara, dominatrice dell’acqua, ottimista e responsabile, e che nel corso della storia cattura il cuore di Aang. Ai due, che conferiscono al gruppo una familiarità domestica, scatenano varie gag divertenti e all’occorrenza anche qualche momento di tensione nelle scene di maggiore vulnerabilità, si aggiunge Toph, dominatrice della terra, che compensa l’assenza della vista con una sensibilità tattile eccezionale. E infine c’è Zuko, orgoglioso e tormentato principe del fuoco, che da antagonista diventerà prezioso alleato.
I temi esplorati da Avatar
La saga di Avatar si caratterizza per un’ambientazione fantasy e orientaleggiante, eppure molte delle dinamiche raccontate sono realistiche e lasciano spazio a profonde riflessioni. La suddivisione del mondo in quattro popolazioni distinte – le Tribù dell’Acqua, i Nomadi dell’Aria, la Nazione del Fuoco e il Regno della Terra – è il pretesto per raccontare le differenze culturali e quanto di negativo spesso ne consegue: la tendenza delle civiltà più tecnologicamente progredite a opprimere le altre, ad appropriarsi delle loro risorse e distruggere quel che resta. Scegliendo un linguaggio adeguato al pubblico giovane cui si rivolge, Avatar parla di imperialismo e colonialismo. Parla di tutto quel che una guerra di conquista comporta nella vita delle persone: la discriminazione razziale, fino alla sua conseguenza più estrema, il genocidio; la scomparsa di intere culture attraverso lo sterminio delle persone che ne fanno parte; il fenomeno degli orfani di guerra.
Ma Avatar non esplora solo i disastri portati da un conflitto, si concentra anche su problematiche più squisitamente sociali. Fornisce un ritratto impietoso di una società classista che si fonda sul divario tra ricchi e poveri. Mostra la discriminazione di genere e la lotta per l’emancipazione femminile, e attraverso Toph le criticità di una società abilista incapace di riconoscere e valorizzare i talenti di chi viene etichettato come persona con handicap.
Grazie all’esplicita volontà di DiMartino e Konietzko di creare personaggi capaci di evolversi e maturare, Avatar affronta anche tematiche legate alla sfera personale.
Nel corso della storia si sottolinea la centralità dei legami familiari, si parla di lutto e perdita degli affetti più cari, si affronta l’argomento della relazione abusante che si sviluppa da genitori anaffettivi. Presenta l’amicizia come rete di mutuo sostegno ma anche come specchio in cui misurare sé stessi. Mostra la difficoltà di compiere scelte che ci rispecchiano e che non siano imposte dagli altri o dettate dalla situazione in cui ci si trova. Racconta la nascita dell’amore, e – soprattutto nella serie a fumetti La leggenda di Korra – la libertà di amare chi si vuole, oltre ogni stereotipo e imposizione culturale.
Oltre a essere un serie d’avventura e un grande affresco fantasy, la saga di Avatar è una metafora della realtà in cui viviamo e una storia di formazione, nel corso della quale i protagonisti crescono, si confrontano con i loro limiti e con la necessità di diventare sé stessi e provano a modellare il mondo a misura loro, cercando di renderlo migliore.
Arianna Mancini ha curato la mostra dedicata ad Avatar – La Leggenda di Aang e Korra nell’edizione 2024 di ARF! Festival.